Interno/Esterno

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[…] Una frattura ancora più fondamentale è forse quella che separa l'”interno” dall'”esterno”. Una concisa definizione di questo tipo di percezione è nel saggio di Freud Die Verneinung (La negazione):

Espressa nel linguaggio degli impulsi istintualità più antichi, cioè orali, l’alternativa suona così: “Mi piacerebbe mangiare quello”, o “mi piacerebbe sputarlo fuori” oppure, portata a uno stadio più avanzato, “Vorrei prendere questo dentro di me e tenere quello al di fuori di me”… Sarebbe come dire: esso è dentro o fuori di me… Dal punto di vista del piacere originale dell’ego, ciò che è cattivo, ciò che è estraneo all’ego, e ciò che è esterno sono, in primo luogo, identici.

Come abitante di un corpo femminile, queste definizione mi lascia perplessa. I limiti dell’io mi sembrano molto meno nettamente definibili di quanto le parole “interno” ed “esterno” fanno pensare. Io non mi percepisco come una città fortificata in cui certi emissari vengono ricevuti ed altri esclusi. Il problema è molto più vario e complesso. Una donna può essere violentata – penetrata contro la sua volontà dal pene, o costretta a prenderlo in bocca, nel qual caso si tratta senz’altro di un atto di invasione – o, nell’atto amoroso eterosessuale, può accettare il pene o prenderlo in mano e inserirlo nella vagina. Nell’atto sessuale che non sia un semplice “fottere” c’è spesso un forte senso di interpenetrazione, un senso di annullamento delle mura della carne, il desiderio fisico ed emotivo del donarsi reciprocamente, cancellando i confini tra i corpi. L’identificazione con l’orgasmo di un’altra donna come se fosse il proprio è una delle più intense esperienze interpersonali: in simili momenti nulla è all'”interno” o all'”esterno” di me. Anche nell’autoerotismo, il clitoride, organo più o meno esterno, trasmette le sue pulsazioni alla vagina fino all’utero che resta invisibile e intoccato.

Nè durante la gravidanza, ho percepito l’embrione come decisamente interno in termini freudiani, ma piuttosto come qualcosa dentro e parte di me, che si separava da me di ora in ora e di giorno in giorno, preparandosi a diventare un essere a sé stante. All’inizio della gravidanza i movimenti del feto sembravano tremori del mio stesso corpo, e più tardi quelli di un essere imprigionato in me; ma entrambe le sensazioni erano mie, appartenevano al mio senso di spazio fisico e psichico.

Senza dubbio in certe situazioni il bambino nel proprio grembo può essere solo avvertito come corpo estraneo introdotto dall’esterno: un intruso. (Nella sua monografia Maternal Emotions, Niles Newton cita studi sul vomito della gravidanza che sembrano indicare un rapporto non col rifiuto della gravidanza stessa ma delle condizioni del concepimento: rapporti sessuali frequenti e non desiderati e l’assenza di orgasmo.) Eppure anche le donne vittime di stupro spesso sembrano assimilare quel germe di vita, creato con la violenza, non come qualcosa di introdotto dall’esterno ma nascente dall’interno. L’embrione, naturalmente, è entrambe le cose. L’ovulazione avviene indipendentemente dalla fecondazione. Il bambino che porto in grembo per nove mesi non può essere definito né come me né come non-me. Lungi dall’esistere in uno “spazio interiore” le donne sono fortemente e vulnerabilmente sensibili sia all'”interno” sia all'”esterno” perché per noi le due cose sono continue e non opposte. […]

Tratto da “Nato di donna. Cosa significa per gli uomini essere nati da un corpo di donna” di Adrienne Rich. Garzanti, 1977. pag. 61 -62