Front National, il partito omofobo che (alcuni) gay amano

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Oggi, addì 7 maggio 2017, la Francia sceglierà il proprio destino politico con il ballottaggio tra Emmanuel Macron, ex Ministro dell’economia, dell’industria e del digitale del governo Hollande, e Marine Le Pen, a capo del Front National, un partito di estrema destra, xenofobo, antieuropeista e, qui sta il punto, molto votato dai gay francesi.
Non una sorpresa dell’ultimo minuto, dato che da parecchi anni, in Francia, manciate di gay, e non molte meno lesbiche, si stanno spostando verso destra. Questo accade oggi, nonostante già nel 2013 Marine Le Pen si fosse espressa contro i matrimoni same-sex (ma senza scendere in piazza contro di essi) e, nell’ultimo programma elettorale, proponga di tornare a limitarsi ai PACS.

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Umane, sacre scritture

59654Aprile 2016, North Carolina. Una cameriera lesbica sullo scontrino di un tavolo che ha servito invece della cifra della sua mancia trova l’indicazione di un passo della Bibbia.
Levitico 20:13. «Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte: il loro sangue ricadrà su di loro.»
Ovviamente la ragazza c’è rimasta piuttosto male.
Cos’avrà voluto ottenere la signora che ha lasciato la minacciosa citazione da un testo scritto mila anni fa? Cosa voleva dirle citando un brano di un capitolo che è una serie di punizioni e condanne a morte per qualsiasi tipo di comportamento non considerato da lecito da dio e che dio stesso, secondo la tradizione, avrebbe comunicato direttamente a Mosè?
Condotte che comprendono l’adulterio (punibile con la morte), l’incesto (punibile con la morte), zoofilia (punibile con la morte, anche del povero animale), rapporti con familiari non di sangue (punibile con la morte), rapporti con donne mestruate (punibile con l’esilio o, testualmente, con l’eliminazione dal popolo).
È piuttosto facile considerarlo un comportamento stupido e inutilmente minaccioso e spocchioso, ma è il tipico esempio di come un testo venga usato come una mazza chiodata normativa (per quanto il brano sia davvero tratto da una lista di norme e che anzi l’intero libro del Levitico abbia un’impronta normativa), ed è anche un esempio molto americano anche se Sentinelle& amici hanno la propensione all’argomentazione sintetica.
Non si è in grado, ci si chiede e me lo chiedo anche io, di contestualizzare storicamente? O di capire che la lista in questione sia una lista di norme che servivano a differenziare il popolo ebraico dagli altri e che quindi le prove di fedeltà al dio unico contrapposto alle miriadi di divinutucce e deucoli fossero un tantino estreme?
E se la signora in questione accettasse come plausibile e fondativa del proprio codice morale il passo contro l’omosessualità non dovrebbe accettare anche tutto il resto delle mortali punizioni? E così come lei, tutti quelli e non sono pochi, che citano il passo 20:13 del Levitico, un libro che fa parte tanto della Torah che della Bibbia Cristiana, e che viene usata come la prova provata che l’omosessualità sia contro natura in quanto citata nelle Sacre Scritture. Continua a leggere

Tabarè amorosi: pensieri sul separatismo

 

Il fatto che sia trans o giù di lì mi pone sia dentro che fuori al discorso separatista.
Ho iniziato a pensarci dal giorno stesso di Non una di meno, prima no che ero distratta, purtroppo.
Non credo di riuscire a pensare la questione senza pensare a dove e cosa e come sono (sul perché ho ancora qualche difficoltà), a farne un discorso di solo principio e non credo nemmeno che ci possa essere un modo univoco per pensare e agire il separatismo. Continua a leggere

Violenza sulle donne. Un’immagine, due usi.

In un articolo per bossy.it dove parlavo della responsabilità che gli uomini dovrebbero avere nei casi di femminicidio, e non solamente responsabilità penale, e della campagna di sensibilizzazione/petizione/altro su Change.org, promossa dall’avvocata Lucia Annibali e dalla deputata PD Alessia Morani.

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L’immagine utilizzata è piuttosto imbarazzante. Prima di tutto perché in un appello rivolto agli uomini si mostra una donna, implicitamente picchiata da un uomo. Ancora una volta è la vittima ad essere mostrata. Continua a leggere

The Berlin Review #2: In Our Own Words. Refugee Women in Germany tell their stories 

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L’idea è molto semplice: far parlare direttamente le rifugiate. C’è quella che è scappata dall’Afghanistan da un marito veramente psicopatico, quella che incinta è arrivata a Berlino via terra, camminando dalla Grecia alla Repubblica Ceca e poi altre che non hanno voluto dire il nome, ma tanto non importa. Senza nome potrebbero essere simili a molte altre, storie di violenze, di infibulazioni, di minacce ma sono anche storie uniche perché raccontate direttamente e per fortuna rimangono storie e non simboli.

“In contrast to conventional writing about the colonial situation, which is produced at the centers of global power and near the apices of class difference, testimonial literature is produced by subaltern peoples on the periphery or the margin of the colonial situation. Thus the margins of empire are now “writing back” in an overdue attempt to correct the Western canon and its versions of “truth”. Testimonial literature has been defined by George Yuidice as an authentic narrative, told by a witness who is moved to narrate by the urgency of a situation (e.g., war, oppression, revolution, etc.).” – Voices for the Voiceless

Sono sempre più convinta che la testimonianza diretta, come quelle che potrebbero essere in questo libro (esiste qualcosa del genere in Italia?) pubblicato dall’International Women Space o iniziative tipo le biblioteche viventi o i Refugee Voice Tours possa aiutare a dissolvere il pantano semantico ed esistenziale degli immigrati, che diventano una massa indistinta e spersonalizzante di persone con gli smartphone. Proprio l’opposto.

Dal racconto dell’attivista sudanese Napuli Langa poi ho scoperto cosa sono stati i bus tour e tutto il movimento di Oranienplatz.

Comunque costa poco, è multilingue e lo potreste ordinare qui.

 

The Berlin Review #1: Frauen auf Bäumen

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Il tema di questo libricino di foto è semplicesemplice: foto d’epoca di donne sugli alberi.
Alcune sono solo a pochi centimetri da terra, con i tacchi penzoloni, altre si sono arrampicate in alto in alto e sono tutte sorridenti e fiere. Altre mostrano una certa goffaggine malcelata per non venire male. Ce ne sono un paio che l’espressione dice proprio chi me l’ha fatto fare? E altre chi sicuramente si facevano fotografare dalla propria compagna. Nelle foto di gruppo sembrano invece che avessero nidificato sugli alberi e vivessero lì, su uno spazio non troppo comodo per la vita collettiva.  Continua a leggere

Orlando, una tragedia complessa.

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[Ho raccolto una po’ link per cercare di dare una visione complessiva e credo che sarà un post in continuo aggiornamento, se m’aregge]

I club gay hanno una lunga storia. Non sono solo “luoghi in cui gli omosessuali pagano per bere”.

Sono terapia per persone che non possono permettersi una terapia, templi per persone che hanno perso la religione, o la cui religione li ha perduti; luoghi di vacanza per persone che non possono andare in vacanza; casa per chi non ha nessuno; santuari contro le aggressioni. Prendono il suono, il tessuto e la carne del mondo e sotto il velo dell’oscurità e dell’influenza di alcol o droghe trasformano tutto questo in qualcosa da raschiare sino all’utopia.

Please don’t stop the music – Richard Kim

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TGEU TransgenderCouncil2016

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la bellissima maglietta con peli di gatto che ho aggiunto io in seguito

Io mi sa che non sono molto da megaevento internazionale.
Quando le persone non hanno i sottotitoli mi trovo un po’ in difficoltà nella comprensione and io myself che parlo inglese, se non sono sincronizzata con un mental dictionary mi esprimo intercalando mugugni&silenzi in cerca di parole (l’inglese come lingua tennologgica).
In più l’edificio della mia socialità ha nelle simpatiche castronerie che dico molte delle fondamenta, e senza di esse non riesco a introdurmi con discorsi e attivismi passati, io che non faccio parte di nessuna organizzazione. Insomma avrei voluto parlare e conoscere molte più persone di quanto abbia fatto (tipo tutte) ma chiudo qui il Momento Disagio e passo oltre.

Al Transgender Council organizzato a Bologna dal TGEU e dal MIT C’erano molte persone, individui proprio in senso stretto, ognuno genderizzato a modo proprio (ho scoperto che esistono davvero i trans con i capelli colorati che vedevo nelle vignette) tante organizzazioni che fanno cose e fanno tante cose, con o senza le istituzioni. C’erano poi talmente tanti workshop e argomenti che ce n’era da parlare per qualche semestre.

Dovessi trovare un tema direi intersezionalità. Ho trovato molto interesse e preoccupazione, for example, per i migranti LGBTQI, così in basso nella piramide dei diritti che li troviamo a malapena in cantina, oltre al riconoscimento legale delle persone non binary. Nei workshop alla salute, alla prostituzione e alle questioni legali (non proprio il mio centro di interesse).
Nell’ultimo panel, ad esempio, si è parlato di brownità, ciccionità, musulmanità, migrantità e pazzità  (unfortunately stavo in coma cerebrale e ho capito less than a half).
In questo senso il movimento trans, direi anche transfemminista, può essere un punto di convergenza di varie istanze politiche e sociali.

La chiave di volta di tutta la faccenda sono di fatto i diritti legali e sociali delle persone trans, queer e migranti.

 

Altough a local political agenda del comune di Bologna che un po’ si apre e un po’ agisce intollerante (vedi Atlantide e Cassero), la scelta di offrire i locali ricchi di echoes e frescoes dei palazzi intorno a Piazza Maggiore ha comunque un valore simbolico notevole. Fossimo state a Roma, se andava bene saremmo state confinate al Palazzo dei Congressi dell’EUR ma mai e poi mai al Campidoglio o al vicino e simpatico Palazzo Venezia o in qualche palazzo a via del Corso. C’erano dietro tanti soldi, va bene, (e spero tanto tantissimo che il MIT ci abbia preso qualche soldino) ma portare a bunch of weird people in centro è stato quasi illuminato.
The sad rant dell’attivismo italiano era sempre lo stesso: no money.

Credo che per l’Italia sia stata una buona occasione e anche una buona base per continuare a discutere e a coinvolgere più realtà di impegno sociale, forse anche chiedere finanziamenti all’Europa, alle Fondazioni e ai privati (se la devono accollare, non possono solo restaurare facciate di palazzi antichi).
Senza fare discorsi utopici e/o futuristici l’intersectionality e ancor più l’inclusione nelle lotte e nelle riflessioni per i diritti civili. Come dire, una visione più olistica della realtà.

 

How to get a bikini body: l’ambivalenza di un meme

Sono anni che dicono che internet ci rende stupidi e un po’ credo sia vero. Un certo uso dei meme per esempio potrebbe essere sia una condensazione di un pensiero, di un intero percorso, di un’idea. Potrebbe essere la summa assoluta, l’epigrafe perfetta, la battuta rivelatoria, una bomba di intelligenza e arguzia.

Ma potrebbe anche essere una riduzione ai minimi termini, una perdita di complessità, un colabrodo di buone intenzioni.

Questa serie sul corpo da spiaggia è un buon esempio.

La si fa facile, ok. Con stili diversi, ma la si fa facile. Per un momento ho pensato anche io che comunque ho qualche problema coll’andare al mare: che ce vò! è così facile! 

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