The Berlin Review #2: In Our Own Words. Refugee Women in Germany tell their stories 

Cover - In Our Own Words

L’idea è molto semplice: far parlare direttamente le rifugiate. C’è quella che è scappata dall’Afghanistan da un marito veramente psicopatico, quella che incinta è arrivata a Berlino via terra, camminando dalla Grecia alla Repubblica Ceca e poi altre che non hanno voluto dire il nome, ma tanto non importa. Senza nome potrebbero essere simili a molte altre, storie di violenze, di infibulazioni, di minacce ma sono anche storie uniche perché raccontate direttamente e per fortuna rimangono storie e non simboli.

“In contrast to conventional writing about the colonial situation, which is produced at the centers of global power and near the apices of class difference, testimonial literature is produced by subaltern peoples on the periphery or the margin of the colonial situation. Thus the margins of empire are now “writing back” in an overdue attempt to correct the Western canon and its versions of “truth”. Testimonial literature has been defined by George Yuidice as an authentic narrative, told by a witness who is moved to narrate by the urgency of a situation (e.g., war, oppression, revolution, etc.).” – Voices for the Voiceless

Sono sempre più convinta che la testimonianza diretta, come quelle che potrebbero essere in questo libro (esiste qualcosa del genere in Italia?) pubblicato dall’International Women Space o iniziative tipo le biblioteche viventi o i Refugee Voice Tours possa aiutare a dissolvere il pantano semantico ed esistenziale degli immigrati, che diventano una massa indistinta e spersonalizzante di persone con gli smartphone. Proprio l’opposto.

Dal racconto dell’attivista sudanese Napuli Langa poi ho scoperto cosa sono stati i bus tour e tutto il movimento di Oranienplatz.

Comunque costa poco, è multilingue e lo potreste ordinare qui.